"Sai, Charlie, non sono mai stato disoccupato. Nemmeno occupato in senso stretto, ma disoccupato di certo no. Però mi immagino cosa possa essere tornare a casa senza più il tuo stipendio con un mutuo da pagare e i bambini da mantenere. E’ successo a mio padre, agli inizi degli anni Trenta, e non vorrei che capitasse la stessa cosa a milioni di americani”. Warren Buffett è così: poche ore prima ha concluso un accordo per entrare, certo non per perderci, in General Electric, la settimana precedente si è preso a prezzo di saldo una quota considerevole di Goldman Sachs, poi arriva in tv per un’intervista con Charlie Rose della Pbs e il capitalista inossidabile torna bambino. Dura poco, per carità. Durava poco persino quando lo era davvero, un bambino, Warren Edward. Aveva dieci anni e nell’agosto del 1940 suo padre Howard lo portò in vacanza dal Nebraska a New York. Il piccolo Warren l’aveva chiesto come regalo di compleanno, anche per vedere quello strano posto che suo padre, un broker di provincia, citava spesso nelle conversazioni in famiglia. Wall Street. Se la sognava spesso e alla fine la vide, riuscendo persino a conoscere Sidney Weinberg di Goldman Sachs, uno di quelli che a quei tempi contavano davvero, al New York Stock Exchange. Il ragazzino del Nebraska dovette piacergli se Weinberg, al termine della breve conversazione, gli chiese quale fosse il suo titolo preferito. Da allora, glielo hanno chiesto in molti, tutti – a eccezione forse del solo ex manager dell’ex banca d’investimenti – certi di avere per risposta la dritta che ti cambia la vita. Non è un caso che lo chiamino “l’oracolo di Omaha” e che sia diventato, nel frattempo, l’uomo più ricco del mondo.
L’incontro con Wall Street doveva segnarlo per sempre, come racconta bene nella biografia autorizzata uscita pochi giorni fa negli Stati Uniti l’ex manager di Morgan Stanley, Alice Schröder. Il libro si intitola “The Snowball” (Random House, 35 dollari) ed è un tomo di oltre novecento pagine che non tralasciano nulla della vita e del pensiero del finanziere originario del Nebraska, uno che a Main Street guardavano sempre tutti con ammirazione, ma anche con sospetto, lui che al contrario di tanti ceo di fondi e banche di investimento nella sua Berkshire Hathaway s’è fissato uno stipendio da appena centomila dollari l’anno e che devolve buona parte dei suoi utili in beneficenza. Come una palla di neve che rotola a valle e s’ingrossa, così è cresciuta la ricchezza e la saggezza di Warren Buffett, è il significato sotteso al titolo del libro, che ripercorre tutte le tappe della sua straordinaria avventura capitalistica.
La prima denuncia dei redditi
Tre anni dopo la chiacchierata con Weinberg il giovane Warren compila la sua prima denuncia dei redditi per dedurre i 35 dollari spesi per acquistare la bicicletta e l’orologio che lui, dice, utilizza “per lavorare”. A quindici anni, con un gruppo di amici, compra un flipper e lo piazza in una bottega di barbiere di Omaha. Qualche mese più tardi la mini ditta ha già tre macchinette e un discreto giro d’affari, considerati i 25 dollari dell’investimento iniziale. Andrà avanti sempre così, Warren da Omaha: a studiare e a inseguire il suo sogno di diventare un broker ma senza mai perdere di vista gli investimenti facili e redditizi, come quella volta in cui – a ventuno anni – acquistò una stazione di servizio Texaco per garantirsi un introito sicuro mentre cercava di entrare a Wall Street dopo la laurea alla Columbia. Era al prestigioso ateneo di Washington che aveva conosciuto quello che tuttora il finanziere considera il suo unico vero mentore, l’analista finanziario Benjamin Graham.
Ne era così infatuato, racconta la biografa, che una volta si presentò alla sede della Geico – una compagnia di assicurazioni di cui Graham era consigliere d’amministrazione – per tentare un approccio con il noto economista. Si imbatté invece in Lorimer Davidson, il vicepresidente, che anni dopo dirà di aver capito “appena dopo un quarto d’ora” di trovarsi di fronte a “un uomo eccezionale”. Trent’anni più tardi il fondo Berkshire Hathaway avrebbe comprato la Geico. Una acquisizione tra le tante, se negli anni il finanziere venuto dal Nebraska si è permesso il lusso di comperare azioni (mai poche) del Washington Post, della Abc, della Coca-Cola fino a diventare – secondo la rivista Forbes – l’uomo più ricco del mondo, più di Bill Gates, a 77 anni.
Ma nella storia di ieri ci sono anche i (pochi) insuccessi, come quello del suo primo matrimonio, finito nel 1977. “Vagavo per casa senza sapere cosa fare”, racconta Buffett nella sua lunga intervista (circa duemila ore faccia a faccia) alla Schröder, alla quale confessa con un po’ di rammarico di essere stato troppo spesso un padre e un marito silenzioso che a colazione, nel suo accappatoio bianco, preferiva leggere il Wall Street Journal che non scambiare due chiacchiere con i suoi cari.
Il sostegno a Obama
Gli investimenti in Goldman Sachs e General Electric sono invece storia recente, così come l’appoggio alla campagna del candidato democratico alla presidenza, Barack Obama. Per uno che a quasi ottant’anni non si scompone davanti a quella che lui stesso ha definito “la Pearl Harbor dell’economia americana”, l’unico voto possibile è per un politico che sceglie di intitolare il suo libro-manifesto all’audacia della speranza. Perché – la bella biografia di Alice Schröder lo mette bene in luce – l’importante è “aver paura quando gli altri sono voraci e voraci quando gli altri hanno paura”.
Alan Patarga
(© Il Foglio, 5 ottobre 2008)
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