giovedì 30 ottobre 2008

Il rivale mitico


Milano. La nascita del mito verde in Italia ha una data precisa: è il 22 gennaio 1956 quando l’Espresso pubblica in prima pagina un’inchiesta di Manlio Cancogni dal titolo “Capitale corrotta = Nazione infetta”. L’obiettivo del reportage è la speculazione edilizia che a Roma, nel giro di pochi anni dalla fine della guerra, ha fatto sorgere uno dietro l’altro centinaia di palazzoni lungo le strade consolari su quelli che un tempo erano i latifondi del patriziato romano. Per la prima volta, nonostante la preoccupazione principale del settimanale sia denunciare il sistema di tangenti che manda avanti il boom edilizio, il tema della difesa dell’ambiente entra nel dibattito politico in Italia.
E’ sempre il 1956 quando Italia Nostra, un’associazione fondata l’anno prima da Umberto Zanotti Bianco e Giorgio Bassani, tiene il suo primo congresso. Fino ad allora l’ambientalismo, che pure esisteva da quasi mezzo secolo, era stato un movimento più simile a un sodalizio di amici della tavola che a un fatto in qualche modo politico. Tante petizioni, qualche raccolta di fondi, nessun contatto con la vita dei partiti. Ci aveva provato Erminio Sipari, ai primi del Novecento, a fare della difesa dell’ambiente un tema parlamentare: il deputato radicale, anche grazie all’appoggio di Benedetto Croce, riuscì a fondare il Parco nazionale d’Abruzzo nel 1922, stesso anno in cui prendeva forma anche quello del Gran Paradiso. Tanto Sipari quanto i suoi successori ritenevano però che la politica potesse essere un mezzo (molto provvisorio) per ottenere il loro fine, la tutela di alcune aree di pregio del paese. La fondazione delle prime due associazioni ecologiste d’Italia, Pro Natura (1948) e Italia Nostra (1955) non fu, in sostanza, che l’importazione di modelli esteri di conservazionismo come il National Trust del Regno Unito.
E’ nell’aprile del 1969 che a Berkeley, in California, l’ambiente diventa – per la prima volta – il pretesto per fare la rivoluzione. Quando il governatore Ronald Reagan manda la Guardia nazionale contro i giovani che piantano fiori e alberelli in un cantiere semiabbandonato, scoppia il putiferio. Sono, probabilmente, i lettori di Rachel Carson, che sette anni prima aveva pubblicato “Primavera silenziosa”, un saggio di denuncia contro l’uso dei pesticidi in America. Il Flower Power nasce così e in Italia, sull’onda della contestazione, cominciano le imitazioni. Nel 1975, durante il congresso radicale di Bologna, un gruppo di militanti decide di dar vita alla Lega naturista. L’obiettivo, tutto sommato ancora prepolitico, è difendere l’ambiente e “vivere secondo natura”. E’ però il Pci (lo stesso partito che fino a qualche anno prima diceva che era l’uomo, e non il lupo, “l’animale più braccato d’Abruzzo”, mentre la Cgil sosteneva che “l’ambiente è un lusso che non possiamo permetterci”) a intendere che, come ogni idea rivoluzionaria, anche quella verde sarebbe potuta diventare un dogma. Da una costola dell’Arci, l’associazione dei circoli ricreativi vicini al Partito comunista, prende forma la Lega per l’Ambiente (oggi Legambiente). E’ il 1980 e a fondarla è, tra gli altri, il trentaduenne Chicco Testa, che nel 1987 lascerà la presidenza del movimento per farsi eleggere alla Camera nelle file del Pci. Qualche anno più tardi nascono le prime liste Verdi (ne fanno parte ex radicali come Francesco Rutelli ed ex esponenti dell’ultrasinistra, come Paolo Cento), che si federeranno all’indomani della battaglia sul nucleare, conclusa con la vittoria del fronte contrario all’utilizzo dell’energia atomica in Italia. Nascono grazie a quel successo, una dietro l’altra, tutte le iniziative che fanno del mito verde la religione di chi non sopporta il progresso e l’uomo che lo promuove e che coinvolgono famiglie, scuole, bambini: dai lenzuoli alle finestre per protestare contro lo smog alle spedizioni punitive con i bambini armati di palette per “pulire il mondo”. Quando, all’inizio degli anni Novanta, alcuni scienziati cominciano a dire che il buco dell’ozono (nel frattempo rimarginato) provocherà l’effetto serra, che i ghiacci si scioglieranno e che l’uomo scomparirà a causa delle sue colpe, i sacerdoti del mito verde trovano l’Apocalisse in cui credere. Ci vorranno un Oscar e un Nobel per fare di Al Gore il Messia che ancora mancava. (ap)

(© Il Foglio, 22 ottobre 2008)

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