martedì 14 ottobre 2008

All'ombra della crisi


Milano. I ripetuti crolli di Wall Street e i fallimenti di banche e assicurazioni occidentali hanno spinto l’ufficio stampa di al Qaida, qualche giorno fa, a confezionare un nuovo video propagandistico: “I nemici dell’islam stanno subendo una cocente sconfitta che si manifesta, per il momento, con la crisi epidemica del loro sistema economico”, ha spiegato in mezz’ora di filmato l’islamista americano Adam Gadahn, da quattro anni sulla lista dei ricercati eccellenti dell’Fbi e che qualcuno credeva morto in un raid pachistano dello scorso febbraio.
Sull’analisi che Gadahn fa della crisi economica mondiale, secondo lui imputabile allo sforzo bellico di Stati Uniti e alleati in Iraq e Afghanistan, i pareri possono essere discordi. Sul fatto che a beneficiarne siano i tanti nemici dell’America, invece, i dubbi sono pochi. Più delle analisi, sono le notizie delle ultime settimane a dirlo. L’ultima, data ieri dal New York Times, che citava fonti riservate dell’Aiea, riguarda il nucleare iraniano, sempre meno civile e sempre più militare. Mentre l’Amministrazione Bush è costretta a salvare le principali istituzioni finanziarie del paese per scongiurare una recessione senza precedenti, uno dei dati che emergono è il rinnovato attivismo del regime di Teheran. Secondo il quotidiano, gli ispettori dell’Onu avrebbero trovato documenti in grado di dimostrare – una volta appuratane l’autenticità – che gli iraniani starebbero sviluppando, grazie alla collaborazione di uno scienziato russo, l’uso dell’energia atomica per confezionare la Bomba. Finora nulla farebbe pensare che lo scienziato, del quale non è trapelato il nome, agisca per conto del governo di Mosca. Che i legami tra Russia e Iran si stiano rafforzando proprio in queste settimane, però, è evidente. Nonostante le smentite del Cremlino, americani e israeliani temono che le forze armate russe possano fornire a quelle iraniane alcune batterie antimissili S-300, considerate tra le più avanzate al mondo e in grado di neutralizzare un eventuale bombardamento dei siti nucleari di Teheran.
I russi starebbero però lavorando anche su altri fronti. Su quello siriano, sicuramente: proprio ieri una squadra navale di quattro unità è arrivata nel porto militare di Tartus, nel Mediterraneo. A guidarla, l’incrociatore nucleare Pietro il Grande e il sommergibile Ammiraglio Chabanenko. L’arrivo della miniflotta, in concomitanza con il trentacinquesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, sembra tutto fuorché una casualità. Da metà settembre il governo di Damasco ha disposto la mobilitazione di diecimila militari, ormai tutti dislocati e pronti a un eventuale combattimento, lungo il confine siro-libanese. Allo stesso tempo, fonti di intelligence hanno rivelato che gli iraniani avrebbero provveduto al commissariamento militare di Hezbollah con la nomina di Muhammad Riza Zahdi a successore di Imad Mughniyeh, ucciso in un raid israeliano a febbraio. Il compito del nuovo addetto militare del leader Hassan Nasrallah sarebbe quello di facilitare l’arrivo di armi iraniane in territorio libanese passando dalla Siria. L’accerchiamento di Israele (che al sud, a Gaza, sta ancora tentando di contenere il pericolo di Hamas) è tanto grave quanto quello che rischiano gli Stati Uniti.
(segue dalla prima pagina) Una volta ripartite dai porti siriani di Tartus e Latakia, le unità navali inviate da Mosca parteciperanno a un’esercitazione della nuova flotta russa nel Mediterraneo, quindi raggiungeranno le navi da guerra della marina venezuelana e simuleranno battaglie navali nei Caraibi, a poche centinaia di chilometri dalle coste degli Stati Uniti. Nell’Artico, a due passi dall’Alaska, in questi giorni sono già in corso alcune esercitazioni aeree – le prime dal 1984 – dei bombardieri russi TU-95 e TU-160.
Anche senza contare l’attivismo militare del premier russo Vladimir Putin, a sua volta alle prese con la crisi del credito, i fronti caldi lasciati sguarniti dall’America in affanno restano numerosi. Giovedì le autorità della Corea del nord hanno informato gli ispettori dell’Aiea che non sarà più consentito loro l’accesso al reattore di Yongbyon e hanno aggiunto di non aver più alcuna intenzione di smantellare il sito nucleare. Persino la ricomparsa dei pirati al largo delle coste somale è un segnale della disattenzione americana: dopo la cattura del carico di armi trasportato dalla nave ucraina Faina (forse finito in mano ai qaidisti guidati da Abdullah Mohamed Fazul) ci sono volute due settimane perché, ancora giovedì, i ministri della Difesa dell’area Nato giungessero a un accordo per l’invio di navi da guerra a presidiare il Corno d’Africa. Come notava sul Jerusalem Post di ieri Jonathan Spyer, “il crollo di Wall Street del ’29 è un esempio imperfetto ma utile per capire cosa sta succedendo. Nel 1928, in un paese dell’Europa centrale, un piccolo partito venne umiliato alle elezioni con un misero 2,6 per cento. Qualche anno più tardi, grazie alle condizioni create da quel crollo, quel partito vinse le elezioni. Il paese era la Germania. Il partito si chiamava Partito nazionalsocialista dei lavoratori e il resto è storia nota”.
Alan Patarga

(© Il Foglio, 11 ottobre 2008)

Nessun commento: