Che Vikram Pandit non l’abbia presa bene si capisce da quel che ha detto, tre giorni fa, in una riunione con i principali manager della sua banca. “E’ come aver comperato un biglietto della lotteria a due dollari, averne vinti dieci, lasciarselo rubare e accontentarsi di due dollari e mezzo come risarcimento”, ha spiegato ai suoi il ceo (da appena dieci mesi) di Citigroup. Il riferimento è all’accordo – sfumato nel giro di un paio di giorni – per l’acquisto della grossa banca regionale Wachovia, per la quale il gruppo guidato da Pandit aveva avanzato un’offerta da 2,16 miliardi di dollari, circa un dollaro ad azione. Offerta accettata a parole dal management di Wachovia, grazie anche alla mediazione della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia pubblica che garantisce i depositi bancari, che avrebbe liberato l’istituto in vendita degli asset e dei titoli ad alto rischio. Quando però venerdì scorso un’altra grande banca americana, Wells Fargo, ha rilanciato offrendo oltre 15 miliardi di dollari per il suo acquisto (debiti a rischio compresi), cioè 7 dollari per ciascuna azione, al quartier generale di Charlotte, in Carolina del nord, hanno pensato che la vecchia regola di vendere al miglior offerente fosse comunque la migliore da seguire. Pandit e i suoi non l’hanno presa bene, tanto da citare in giudizio Wachovia e Wells.
Quando però i due colossi del credito avrebbero dovuto dare il via alla battaglia giudiziaria, i loro legali si sono presentati davanti al giudice distrettuale Lewis Kaplan e gli hanno chiesto un rinvio. Non l’hanno fatto di loro iniziativa. A intervenire per tentare una difficile mediazione è stato il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, tutt’altro che entusiasta all’idea di dover assistere a uno scontro tra banche mentre lui è impegnato a salvarne altre in crisi di liquidità. Le preoccupazioni della Fed sono tutte per Citigroup. Dopo l’annuncio della contromossa di Wells Fargo, il titolo della banca di Pandit ha perso terreno a Wall Street e gli operatori del mercato hanno cominciato a dubitare della sua solidità. Se Citi avesse le carte in regola – è il loro ragionamento – rilancerebbe con un’altra offerta anziché ostinarsi a voler spendere quanto preventivato a costo di rivolgersi a un giudice. La mediazione della Fed (l’ultimo rinvio accordato dal giudice scade oggi) prevede una divisione di Wachovia tra i due contendenti, con Citi pronta a rilevare depositi e filiali nel nordest, Wells quelli nel sudest e la mano pubblica pronta ad accollarsi (come nell’accordo Citigroup) gli asset rischiosi. In un editoriale pubblicato ieri, il Wall Street Journal suggerisce al ministro del Tesoro, Hank Paulson, di andare oltre e immettere capitali freschi nelle casse di Citi “prima che sia tardi”, confermando i timori di chi sostiene che intervento pubblico chiama sempre intervento pubblico.
(© Il Foglio, 10 ottobre 2008)
Update: alla fine se l'è presa Wells Fargo. Menomale.
Nessun commento:
Posta un commento