martedì 12 febbraio 2008

La moratoria al cinema


C’è un film, in America, che sta facendo molto più di qualunque moratoria. Senza modificare alcuna legge, senza riaprire dibattiti, sta riuscendo dove decine di gruppi pro life spesso falliscono: nel convincere tante donne a non abortire coinvolgendole emotivamente. Il film si chiama “Bella”, è diretto dal regista Alejandro Monteverde e ha vinto il People’s Choice Award al Toronto Film Festival del 2006 e poi è rimasto un anno senza distribuzione. Il protagonista della pellicola, che è anche il principale produttore, è il giovane attore messicano Eduardo Verastegui, ex star delle telenovelas trasferitosi da qualche anno a Hollywood. Qualche commedia “spanglish”, tanti cliché sui “latinos” e poi una conversione, religiosa e artistica: “Il successo mi stava dando tante cose materiali ma dentro mi sentivo vuoto. Soprattutto, mi sembrava ingiusto continuare ad accettare ruoli mortificanti per la mia gente e sprecare così il dono della recitazione che Dio m’aveva fatto”. Di famiglia cattolica, Verastegui è tornato alla fede e ha scelto di fondare una piccola casa di produzione indipendente, la Metanoia, per promuovere il suo progetto: realizzare film in grado di raccontare storie verosimili e di trasmettere valori positivi. “Bella” è stato il primo esperimento. La vittoria a Toronto, che in passato era toccata a pellicole di primo livello come “Momenti di gloria” o “Hotel Ruanda”, non ha spianato la strada per la distribuzione. La storia di una giovane donna single incinta (interpretata dall’attrice televisiva Tammy Blanchard) che, aiutata da un nuovo amico (Verastegui, cuoco ed ex calciatore), rinuncia ad abortire pur essendo rimasta senza lavoro non rientrava negli stereotipi hollywoodiani. Le porte delle grandi multisala sono rimaste sprangate. “Bella” è stato proiettato in poco più di centocinquanta sale in tutti gli Stati Uniti a partire dalla fine di ottobre: dopo due settimane erano diventate quattrocentosessanta perché, a decine, i gruppi antiabortisti avevano attivato un passaparola tale da obbligare gli esercenti ad affittare loro gli spazi per visioni “private”. Lo stesso Verastegui ha preso parte a proiezioni organizzate da associazioni come il Family Research Council e Focus on Family. La critica, a partire dalla recensione del New York Times firmata da Stephen Holden, è stata tutt’altro che tenera, eccezion fatta per le riviste vicine ai gruppi pro life, ma in quattro settimane gli incassi sono stati di oltre cinque milioni di dollari e tanto sul portale Yahoo che sul sito Internet specializzato Fandango la pellicola è stata la più votata dal pubblico americano.
A un incontro organizzato a Nashville a novembre l’attore ha però raccontato l’altra faccia del successo del film: “E’ stato sorprendente – ha spiegato – ricevere così tante e-mail e lettere di giovani donne che hanno deciso di annullare appuntamenti già presi per abortire per il solo fatto di aver visto ‘Bella’ e che hanno tenuto il loro bambino”. Intervistato dall’American Family Association Journal, Verastegui ha anche raccontato di come, durante la realizzazione del film, sia riuscito personalmente a convincere due donne a far nascere i figli che portavano in grembo: “Stavo preparando il mio lavoro di ricerca come fa qualsiasi attore prima di girare un film – ha spiegato l’attore e produttore – Essendo la storia di un aborto, mi recai in una di quelle cliniche in cui si praticano le interruzioni di gravidanza a Los Angeles. Pensavo di andar lì, fermare una donna all’entrata e farle un paio di domande. Mi trovai di fronte una schiera di ragazze di 15 o 16 anni in attesa di abortire. Rimasi senza parole, non sapevo cosa fare. Da un gruppo di persone vennero fuori alcuni messicani che mi riconobbero perché qualche anno prima ero stato una star delle telenovelas e mi dissero che c’era una ragazza del mio paese che non parlava bene inglese che stava per abortire. Erano attivisti di un gruppo pro life e pensavano fossi uno di loro. Andai dalla ragazza, che sembrava intimidita perché m’aveva riconosciuto. Con lei c’era il suo fidanzato. Parlammo della vita, della fede, dei sogni, del Messico, del cibo, di tante cose. Le diedi un orsacchiotto (la scena è stata ripetuta nel film, ndr) e il mio numero di cellulare, lei se ne andò”. Qualche mese dopo, una telefonata: “Era il compagno di quella ragazza – ha raccontato Verastegui – voleva chiedermi se potevano dare il mio nome, Eduardo, al loro bambino, nato il giorno prima. Sono andato a trovarli e non so spiegare cosa ho provato nel tenere quel piccolo tra le mie braccia”. Verastegui ci ha riprovato qualche mese più tardi, quando la pellicola aveva già vinto a Toronto ma non era ancora arrivata nei cinema. “Ho saputo che una ragazza della comunità ispanica di Miami voleva abortire. Siamo andati da lei e le abbiamo mostrato il film. Alla fine, lei ha alzato il telefono e ha cancellato l’appuntamento con la clinica”. Quella bambina è nata qualche settimana più tardi. La sua mamma l’ha chiamata Bella.
Alan Patarga

(© Il Foglio, 5 gennaio 2008)

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