venerdì 22 agosto 2008

Perché ora Israele guarda a est per nuove alleanze e coperture


Gerusalemme. Se Mosca accetterà l’offerta di Bashar el Assad e dispiegherà in Siria le sue batterie di missili terra-terra della classe Iskander, il premier israeliano Ehud Olmert imparerà che una telefonata può non essere abbastanza per tenere in piedi le relazioni tra due paesi. Arrivato ieri nella capitale russa, il presidente siriano ha ribadito al collega russo, Dmitri Medvedev, l’offerta che l’agenzia di stampa Interfax aveva anticipato il giorno prima: Damasco, ha spiegato il leader arabo, è disposta a ospitare i missili russi a media gittata e vorrebbe pure comprare una vistosa partita di armi – dal sistema di difesa aerea Pantsyr-S1 ai missili terra-aria Buk-M1 – anche per offrire a Mosca l’occasione per rispondere a stretto giro all’intesa tra Stati Uniti e Polonia sullo scudo antimissile europeo e “per rifarsi dell’affronto subito da Israele, che mandava in Georgia armi e addestratori per l’esercito di Tbilisi”. Qualche ora prima Medvedev aveva preso il telefono e aveva chiamato Olmert per rassicurarlo sulla “solidità dei rapporti russo-israeliani”, proprio mentre il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, non escludeva “un’intesa con la Siria per forniture militari”, sia pure “a scopo esclusivamente difensivo”. I timori israeliani, che la telefonata di Medvedev non ha fugato, sono alimentati anche da altre due mosse di Mosca. Una è l’invio di una flotta di navi da guerra a capacità nucleare (guidata dalla portaerei Kutznetsov) nel Mediterraneo, partita quattro giorni fa da Murmansk e destinata ad arrivare entro domani nel porto siriano di Tartus con l’obiettivo di rimanerci. L’altra è la notizia della fine della collaborazione militare e strategica tra Russia e Nato, preannunciata con una semplice telefonata all’ambasciata norvegese a Mosca.
Per motivi opposti, anche a Gerusalemme la sensazione che il rapporto con i paesi dell’Alleanza atlantica (a eccezione di quello preferenziale con gli Stati Uniti) sia meno utile che in passato è piuttosto diffusa. I tentennamenti durante la crisi in Ossezia del sud e le perenni indecisioni dell’Unione europea riguardo il conflitto arabo-israeliano non sono indicatori di una copertura politico-militare adeguata per un paese che rischia di trovarsi alle prese, in tempi brevi, con la minaccia di uno scontro armato contro l’Iran in cerca dell’atomica. Non a caso, Gerusalemme ora guarda a est: sta intensificando i rapporti con stati da sempre considerati amici, ma che negli ultimi anni si stanno rivelando assai più importanti di un tempo sul piano commerciale e su quello geopolitico.

Barak e i missili Barak
Mentre a Vienna e a New York si discuteva dell’accordo nucleare tra Stati Uniti e India (che lo scorso primo agosto ha ricevuto il sostanziale via libera dall’Aiea), ieri fonti diplomatiche di New Delhi hanno rivelato il raggiungimento di un’intesa con il ministero della Difesa israeliano guidato da Ehud Barak per un programma di forniture militari da più di un miliardo e mezzo di dollari. In particolare, riferiscono i media indiani, le Industrie aerospaziali israeliane avrebbero ricevuto il nullaosta dal governo di New Delhi per la fornitura di batterie missilistiche terra-aria della classe Barak, oltre a quella di un sistema di difesa aerea. Secondo Aleksandr Pikayev, analista del Carnegie Institute di Mosca, “la mossa israeliana è in linea con la sua tradizionale politica estera, assai vicina a quella statunitense. Non a caso l’intesa sul nucleare con gli americani e quella con gli israeliani sulle armi arrivano quasi nello stesso momento”. Però, spiega al Foglio l’analista russo, “è anche il segnale che Gerusalemme vuole giocare la propria partita diplomatica e militare in prima persona, come sta accadendo anche in alcune repubbliche dell’ex Unione sovietica, come la Georgia e l’Uzbekistan. Che ciò accada al di fuori del Mediterraneo, diviso tra paesi arabi poco amichevoli e gli alleati indecisi d’Europa, è quasi scontato, anche perché Gerusalemme ha bisogno di diversificarsi sul piano geopolitico per avere un proprio peso specifico. Però finora i rapporti sono stati più che altro commerciali, nonostante la vendita di forniture militari”. Del resto, se il pericolo contro Israele arriva da est, Gerusalemme ha interesse a seguire con attenzione la partita geopolitica in quella direzione, e a imprimere una svolta diplomatica nel Caucaso. Quando gli iraniani otto anni fa arrestarono tredici ebrei con l’accusa di spionaggio, fu il Kazakistan del presidente Nazarbayev a fare da mediatore discreto tra i due paesi. Quanto alla Russia, dice Pikayev, “Gerusalemme tenterà di non compromettere ulteriormente i rapporti con Mosca, anche perché il problema della dipendenza energetica non esclude neppure Israele e portare i russi a schierarsi senza se e senza ma con la Siria e l’Iran non conviene, in primo luogo, proprio agli israeliani”.

(© Il Foglio, 22 agosto 2008)

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