Gerusalemme. L’avvertimento era stato chiaro. “L’Iran non deve presentare su un piatto d’argento ai suoi nemici le motivazioni per farsi attaccare”, aveva spiegato sabato scorso ai cronisti Suleiman Awwad, portavoce di Hosni Mubarak, al termine del vertice con il re saudita, Abdullah. A Teheran l’invito partito dal Cairo – che per il quotidiano arabo di Londra, al Quds, era “più di un semplice monito” – probabilmente non è mai arrivato. Poche ore più tardi, i responsabili dell’agenzia spaziale iraniana annunciavano il lancio di un nuovo razzo prodotto con tecnologia locale (ma con la collaborazione di scienziati russi), tappa iniziale di un programma di lungo termine che dovrebbe portare satelliti iraniani in orbita intorno alla Terra. Ancora ieri il direttore dell’agenzia, Reza Taghipour, annunciava di voler rendere partecipi “le nazioni musulmane nostre amiche” del successo, offrendo loro l’opportunità di sviluppare programmi spaziali congiunti.
La notizia del lancio iraniano del razzo Safir-e Omid, che in farsi vuol dire “ambasciatore di pace”, non è stata accolta positivamente da Stati Uniti e Israele. Nel corso di un briefing con la stampa, il portavoce del dipartimento americano per la Sicurezza nazionale, Gordon Johndroe, non ha nascosto la “preoccupazione circa le intenzioni di Teheran” perché, ha chiarito, un razzo in grado di lanciare in orbita un satellite può tranquillamente puntare più in basso e magari trasportare una testata esplosiva. Il problema, semmai, è la gittata: secondo fonti militari di Gerusalemme citate da Radio Israele, a preoccuparsi dovrebbero essere i paesi europei perché il Safir, se utilizzato per fini militari, potrebbe raggiungere persino Parigi e Londra. Né sembrano sufficienti a tranquillizzare occidentali e israeliani le generiche rassicurazioni di Teheran, che ha sottolineato l’interesse “esclusivamente scientifico” del proprio programma spaziale. A renderle meno credibili, oltre al test condotto il mese scorso dal regime dei mullah con i missili a lunga gittata Shihab-3, è stata un’altra notizia giunta nelle stesse ore: intervistato dal canale all news Press Tv, il generale Ahmad Mighani, comandante dell’aeronautica militare iraniana, ha annunciato l’ammodernamento dei cacciabombardieri della classe SU (di fabbricazione russa), “ora in grado di volare per tremila chilometri di fila senza dover fare rifornimenti”. I principali obiettivi israeliani ne distano appena mille.
Che un confronto militare (freddo o caldo è da vedere) sia imminente tra Gerusalemme e Teheran lo dicono pure le mosse dello stato ebraico. Quando, a fine luglio, il segretario statunitense alla Difesa, Robert Gates, e il suo omologo israeliano, Ehud Barak, si sono incontrati al Pentagono, nel comunicato ufficiale si parlava genericamente di un “impegno americano per potenziare gli strumenti di difesa di Israele”. Gli strumenti, anzi lo strumento altro non sarebbe che il più moderno sistema di radar antimissile in dotazione alle forze armate americane, per il momento concesso in uso a un solo alleato, il Giappone, per metterlo al riparo da eventuali minacce nordcoreane o cinesi. Il super radar da solo triplicherebbe la capacità di intercettazione di eventuali missili sparati contro Gerusalemme e le altre città israeliane. L’accordo non è ancora stato reso ufficiale, ma il recente vertice tra l’ammiraglio statunitense Mike Mullen e il capo di stato maggiore israeliano, Gabi Ashkenazi, avrebbe avuto come unico argomento proprio il nuovo sistema antimissile, sostengono concordemente tutte le fonti militari di Gerusalemme.
Neppure il radar X-Band potrebbe però neutralizzare un prossimo lancio di missili iraniani: secondo gli esperti, infatti, ci vorrebbero mesi, se non anni, per ottenere le autorizzazioni al dispiegamento dal ministero della Difesa israeliano, e nemmeno le postazioni sarebbero state ancora scelte, sebbene si parli con insistenza del Negev. L’arrivo imminente nel Golfo persico di altre due portaerei americane (la Teddy Roosevelt e la Reagan) e della nave da sbarco Iwo Jima – che contribuiranno a creare il più grosso dispiegamento navale statunitense nell’area dal 1991 – potrebbe essere il segnale che a Washington intendono fare sul serio.
(© Il Foglio, 18 agosto 2008)
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