domenica 24 agosto 2008

Barack Obama sceglie come vice Joe Biden, l'alter ego di McCain


Washington. Barack Obama aveva promesso un cambiamento radicale per l’annuncio del candidato democratico alla vicepresidenza e in parte è stato di parola. Venerdì notte ha mandato un sms a Joe Biden e un’e-mail ai suoi sostenitori per comunicare all’uno e agli altri la scelta del suo running mate. Le novità, però, sono finite qui. Joe Biden tra i papabili c’era da tempo (gli altri erano i senatori Evan Bayh e Jack Reed e il governatore della Virginia, Tim Kaine) e il suo, a Washington, è tutto fuorché un nome nuovo. Senatore del Delaware dal 1972, al suo confronto persino il settantaduenne McCain è un neofita: la sua prima elezione al Congresso risale a dieci anni più tardi. Biden è, per molti versi, l’esatto contrario del senatore nero dell’Illinois: tanto l’uno si è presentato finora come l’uomo del cambiamento, quanto lui ha fatto dell’esperienza il suo più importante asset politico. E non da oggi. Era il 1988 quando il comitato elettorale di Joseph Robinette Biden jr., allora in corsa alle primarie per la nomination democratica, fece mandare in onda uno spot in cui si spiegava che “la Casa Bianca non è il posto in cui imparare come risolvere una crisi internazionale”. Un messaggio che oggi sarebbe perfetto per la campagna McCain. Finì male: il senatore del Delaware pronunciò un discorso copiandolo dall’allora leader dei laburisti britannici, Neil Kinnock, e al suo posto i democratici scelsero Michael Dukakis. Esperienza a parte, le differenze tra lui e Obama non potrebbero essere più marcate: Biden, nel 2002 votò a favore dell’invasione dell’Iraq e in seguito le sue critiche all’Amministrazione Bush – che non sono mancate – sono state rivolte a chi, al Pentagono, aveva sottostimato le necessità di uomini e mezzi per poter affrontare adeguatamente il dopoguerra iracheno. “Per due anni sono stato il solo, con John McCain, a chiedere l’invio di altre truppe”, dichiarò in un’intervista del novembre 2005. Un anno e mezzo prima, nel maggio del 2004, quando ormai la nomination democratica di John Kerry non era già più in discussione, Biden invitò il senatore del Massachusetts a scegliersi, come vice, “un repubblicano per ridare unità a un paese straziato da Bush: l’unico che sceglierei sarebbe John McCain”.
(segue dalla prima pagina) Nonostante le apparenze, Joe Biden non è ossessionato dal suo prossimo rivale politico, anzi. I due si stimano e lo stesso senatore democratico, tre anni fa, spiegò al comico Jon Stewart, in un talk show, che per lui sarebbe stato “un onore essere candidato con o contro” il suo amico di destra. Da quando la sua nomina è stata annunciata, i media e gli analisti hanno però cominciato a rinfacciargli – con maggiore o minore indulgenza – il suo lungo curriculum di gaffe e dichiarazioni poco felici che hanno caratterizzato l’intera sua carriera politica. E mentre non mancano le dichiarazioni d’affetto per John McCain, un po’ tutti hanno faticato a trovarne per Barack Obama: la cosa migliore che Biden ha detto di lui la disse il giorno in cui annunciò che gli si sarebbe candidato contro (con scarso successo) alle primarie. “E’ il primo afroamericano che parli e si presenti bene che ricordi”, la dichiarazione che in pratica lo condannò ad abbandonare la corsa prima ancora di averla iniziata. Se per Chris Cillizza del Washington Post e altri analisti politici americani la scelta di Biden “è più rischiosa che altro”, per David Brooks del New York Times invece il suo nome – associato a quello del giovane e affascinante, ma inesperto Obama – potrebbe essere quello giusto. Secondo Brooks “è vero che Biden ha detto un sacco di idiozie nel corso degli anni, ma è pur vero che certe sue uscite sono il segnale della sua genuinità”. Una qualità importante, insieme alla “capacità di parlare alla working class, all’onestà e all’esperienza”. Di quest’ultima Biden non difetta: in politica estera (è presidente di commissione al Senato) è forse il più esperto parlamentare democratico e il fatto che il presidente georgiano Saakashvili l’abbia invitato – pochi giorni fa – a visitare Tbilisi ne è una conferma. In Campidoglio il senatore del Delaware è poi considerato da tutti come un politico onesto che da trentasei anni fa tutti i giorni il pendolare tra Washington e la sua casa di Wilmington, la sua storia personale (la perdita della moglie e di una figlia a 29 anni, appena eletto al Senato), la sua fede cattolica e persino il fatto di avere un figlio che il prossimo ottobre partirà per l’Iraq con la Guardia nazionale sono tutti elementi che farebbero della sua scelta una buona scelta per Obama. Al momento i sondaggi dicono che non è così, e che il nome Biden associato a quello del senatore nero non sposta un voto né in entrata né in uscita, come forse avrebbe fatto la nomina di un ex governatore di uno stato in bilico. Nel 1974 Time inserì il suo tra “i duecento volti che cambieranno l’America”. Trentaquattro anni dopo, è arrivato il momento di dimostrarlo.
Alan Patarga

(© Il Foglio, 24 agosto 2008)

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