sabato 20 settembre 2008

Rischi centrali


Milano. Che 247 miliardi possano non bastare Ben Bernanke l’ha sicuramente messo già in conto. La crisi di liquidità che sempre più banche stavano attraversando a causa del clima di sfiducia innescato a inizio settimana dalle vicende Lehman Brothers e Aig è stata affrontata dalla Federal Reserve e dalle altre banche centrali dei paesi più sviluppati con una gran quantità di dollari. Nel giro di una notte, la Fed ha raggiunto accordi di cambio con la Banca centrale europea, la Banca d’Inghilterra, la Banca del Giappone, la Banca nazionale svizzera e la Banca del Canada per ridare fiato al sistema mondiale del credito. Il timore che la crisi riguardasse ormai tutti, e che pertanto nessuno sarebbe a priori un buon pagatore, ha indotto negli ultimi giorni le banche dei paesi più industrializzati a concedersi l’una con l’altra con sempre maggior parsimonia quei prestiti di breve termine che solitamente consentono agli istituti di credito di ampliare la propria liquidità e portare a termine investimenti e delicate operazioni finanziarie. Mercoledì il dipartimento americano del Tesoro segnalava che il livello di scambi, alla voce prestiti interbancari, aveva raggiunto i livelli del 1941. I soldi, insomma, non circolavano più. La reazione della Fed e delle altre banche centrali non si è fatta attendere: in poche ore, la Banca centrale americana, con la collaborazione dei principali istituti nazionali, ha immesso poco meno di 250 miliardi di dollari sul mercato del credito per rimettere in moto gli scambi, far tornare il segno più sui mercati azionari e porre un freno alle avvisaglie di crisi. Obiettivi ancora da raggiungere.
A giudicare dalla reazione delle Borse, da Wall Street alla City, lo scopo è stato raggiunto solo temporaneamente. A New York come a Londra e a Milano – dopo i giorni della forte caduta – si sono registrati cali contenuti in chiusura. Che il sacrificio possa essere ripetuto a breve è però l’altra faccia del problema. La Banca centrale europea ha accettato di prendere a prestito circa 110 miliardi di dollari per garantire liquidità agli operatori dell’area euro, quella del Giappone si è accontentata di 60, mentre la Bank of England si è riservata di immettere sul mercato britannico circa 40 miliardi di valuta fresca a tassi di cambio più convenienti. Per un giorno, e forse per qualcosa di più, l’effetto “liquidità illimitata” è stato raggiunto. Secondo Jim O’Neill, capo economista di Goldman Sachs, però, potrebbe non bastare.
(segue dalla prima) Per O’Neill, intervistato dall’agenzia Bloomberg, “le banche stanno comunque perdendo fiducia nel sistema e gli istituti centrali stanno facendo di tutto perché la riacquistino. Perché ciò accada è probabile che debbano ripetere altre volte la mossa di oggi”. Di sicuro c’è che “la carenza di dollari sul mercato è quel che ha portato al peggioramento di questa crisi e per uscirne l’unica strada è immetterne sempre di più”, assicurava ieri alla stessa agenzia anche Robert Barrie, economista londinese del Credit Suisse.
Tutto sta a capire, cominciano a domandarsi gli analisti, fino a che punto la Fed e le altre banche centrali siano in grado di sopperire alla mancanza di entusiasmo e di prudenza di banche e assicurazioni in crisi. Per la Federal Reserve i salvataggi di Freddie Mac e Fannie Mae prima e quello di Aig poi non sono stati certamente economici. Lo stesso si può dire, a proposito della Banca d’Inghilterra, per l’affare Northern Rock. Di rischio default non parla ancora nessuno, ma è aumentata l’attenzione verso certi segnali. Ieri il Wall Street Journal, per esempio, non ha mancato di sottolineare l’intervento del dipartimento del Tesoro, che ha annunciato la messa all’asta di cento miliardi di dollari in buoni mensili per rimpinguare le casse della Banca centrale guidata da Ben Bernanke. Una mossa per rispondere “ai mercati finanziari, i quali cominciano a temere che, in assenza di contromisure, la Fed possa avere problemi in futuro a usare le sue cartucce”, scriveva Brian Blackstone sul WSJ. Timori seguiti dal sollievo per l’intervento del segretario al Tesoro, Hank Paulson, se qualche ora dopo l’annuncio della vendita dei bot l’economista Michael Feroli di JP Morgan Chase sosteneva già che “grazie a questa decisione la Fed manterrà la sua capacità di intervento a sostegno del corretto funzionamento dei mercati finanziari”.
Che una Banca centrale possa fallire è possibile, d’altro canto, sebbene sia difficile in un paese con una grande riserva di ricchezza (e un gettito fiscale moltiplicabile). E’ successo, di recente, in Zimbabwe e in Tagikistan. Secondo uno studio, pubblicato alcuni mesi fa dal Centre for Economic Policy Research di Londra, potrebbe accadere anche a Washington. O a Bruxelles. L’economista Willem Buiter, autore della ricerca, si dice ottimista ma riconosce che “l’insolvenza delle Banche centrali potrebbe diventare un problema persino nei paesi più avanzati, se questi istituti si assumeranno troppi rischi nel tentativo di salvare altre istituzioni finanziarie giudicate ‘troppo grandi’ o ‘troppo interconnesse’ per essere destinate al fallimento”.
Alan Patarga

(© Il Foglio, 19 settembre 2008)

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