Washington. La speranza di Hank Paulson è che la promessa di spendere “centinaia di miliardi di dollari” per garantire i fondi mutualistici americani e “ridare stabilità al sistema” possa bastare a far dimenticare il suo peccato originale, di essere un “Goldman boy” passato alla politica. Dalla decisione di non salvare con i soldi pubblici Lehman Brothers, lunedì scorso, il segretario americano al Tesoro ha vissuto la non facile condizione dell’ex concorrente che non muove un dito per evitare il tracollo del rivale storico. Prima di essere cooptato nell’Amministrazione Bush, due anni fa, Paulson era il capo di Goldman Sachs, principale competitor della banca d’investimenti fallita. Non sono state settimane facili, per Henry Merritt jr., detto Hank – che a scuola chiamavano “the hammer”, il martello, perché a football ci sapeva fare ed era poco tenero con gli avversari – impegnato nel costoso salvataggio delle agenzie semipubbliche Freddie Mac e Fannie Mae e del colosso delle assicurazioni Aig, mentre i mercati registrano giorno dopo giorno il panico crescente degli operatori. C’è voluta la mossa di ieri, quando il segretario al Tesoro prima e il presidente George W. Bush poi hanno annunciato un piano per ridare fiducia agli investitori, per invertire la tendenza e ottenere chiusure positive su tutte le piazze finanziarie del mondo. A Wall Street, dopo i crolli dell’ultima settimana, gli indici hanno segnato un aumento medio del 4 per cento, a Londra si è sfiorato l’8 e in tutta Europa la decisione del dipartimento del Tesoro di Washington è stata accolta con sollievo come il primo passo di una strategia di lungo termine dopo una serie di iniziative estemporanee adottate per salvare, di volta in volta, il salvabile.
Il piano consiste nel garantire per tutto il prossimo anno la solvibilità (e quindi la stabilità) dei fondi mutualistici, un tempo considerati sicuri come un conto in banca. Significa porre le basi per uscire dalla crisi ma anche, come lo stesso Bush ha sottolineato ieri in un breve intervento dalla Casa Bianca, “mettere a rischio un’ingente quantità di denaro dei contribuenti”. L’intervento pubblico – uno dei più drastici negli Stati Uniti dai tempi della Grande depressione – “è una di quelle decisioni che si prendono nei momenti in cui il paese deve restare unito”. Giovedì sera Hank Paulson, Ben Bernanke e i principali leader del Congresso si erano visti per trovare un’intesa e dare un segnale forte agli investitori. A tarda notte hanno raggiunto l’accordo per un piano che prevede lo stanziamento di 50 miliardi di dollari per garantire i fondi (verranno prelevati dal Fondo di stabilizzazione dei cambi), più altri dieci che serviranno per acquistare mutui a rischio, ma anche l’intervento diretto della Fed a sostegno delle banche in difficoltà. Ci sarebbe anche Lehman nell’elenco di quelle da aiutare, se non fosse già fallita da quattro giorni.
“Potessi, lo licenzierei su due piedi”. Senza smentire la sua fama di maverick incapace di tener conto di amicizie politiche e opportunità di schieramento, John McCain ha spiegato che lui, al posto di George W. Bush, Chris Cox non l’avrebbe certo lasciato al suo posto di presidente della Sec, la commissione federale di controllo sulle attività finanziarie, la Consob americana. Lasciando intendere che per lui la crisi c’è, e pure grave, il candidato repubblicano alla presidenza ha individuato in Cox il principale responsabile di “un malcostume finanziario che sta rovinando il sistema”, il cosiddetto “short selling”, che consiste nel vendere un titolo (del quale il broker non è in possesso) scommettendo sulla probabilità che esso possa subire una consistente perdita di valore a breve termine. L’obiettivo è ricavarne una plusvalenza al momento di acquistarlo davvero. La controindicazione sta nel fatto che, quando le scommesse sulle sciagure finanziarie di un titolo aumentano di numero ciò finisce per causarne direttamente il deprezzamento. E’ successo con Lehman Brothers e con Bear Stearns e, almeno fino a ieri, il timore degli operatori di Wall Street che la cosa potesse ripetersi con altri colossi come Goldman Sachs era reale. Proprio ieri la Sec ha annunciato la mossa che dovrebbe disinnescare il pericolo e, di conseguenza, annullare le accuse rivolte da McCain al presidente dell’organismo di controllo sui movimenti di Borsa. Per i critici la decisione di agire soltanto ora, dopo il disastro Lehman, resta imperdonabile. Le nuove regole, spiegate ieri proprio da Cox, prevedono un divieto –temporaneo – di scommettere su 799 titoli a rischio. Divieto che, nelle intenzioni della Sec, “dovrebbe portare a un riequilibrio del mercato” e rafforzare la fiducia degli investitori e fermare il panico.
Le accuse di McCain, nel frattempo, hanno trasformato Cox nel capro espiatorio perfetto. Repubblicano, ex consigliere di Reagan, ex deputato (si è dimesso dalla Camera nel 2005 per assumere l’incarico attuale), Charles Christopher Cox è stato a lungo uno dei più quotati esponenti del Grand old party. Nella cerchia ristretta di Newt Gingrich, negli anni d’oro del Partito repubblicano al Congresso, Cox è stato spesso indicatocome possibile candidato ideale per gli incarichi più prestigiosi d’America. Sulla lista dei papabili giudici della Corte suprema (alla fine Bush gli preferì Sam Alito) e persino su quella dei possibili candidati alla vicepresidenza (lo scorso marzo il Wall Street Journal raccontava di trattative proprio con McCain), il numero uno della Securities and Exchange Commission è ora diventato il cattivo per antonomasia. Proprio lui che nel suo ufficio conserva sottovetro un assegno del 1929 con il quale il bancarottiere Samuel Insull “saldava” una perdita da 6 mila dollari (70 mila di oggi) subita da suo nonno con tre dollari e 36 cent.
(© Il Foglio, 20 settembre 2008)
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