venerdì 5 settembre 2008

Colaninno dall’Ape al Boeing, una gita dalle parti del Gonzaga dei trasporti


Mantova. Al bar Sordello giurano di non averlo visto mai, o quasi. Lui, schivo com’è naturale che sia uno che s’è fatto da sé, non è tipo da farsi vedere in piazza. “L’Emma, lei sì, fino a due o tre mesi fa potevi trovarla tutte le domeniche mattina ai tavoli del plateatico con la famiglia”. Il tempo dirà se quei due o tre mesi d’assenza sono stati per le ferie o per il nuovo incarico di Emma Marcegaglia, che da maggio è il nuovo presidente di Confindustria. Ma lui no, al rito del cappuccino alla berlina non si presterebbe mai. Roberto Colaninno preferisce i soliti posti, i soliti amici di scuola che di tanto in tanto ritrova per le vie del centro. E allora li porta al bar, il primo che capita, offre l’aperitivo e si abbandona ai ricordi. Lo vedevano spesso al Caffè Sociale, quello accanto al teatro, ma nemmeno là è più di casa. E’ rimasta soltanto, nell’itinerario solito tra la casa di via Carducci e Nista, il barbiere che “lo manda in giro sempre bello azzimato” da trent’anni, la solita sosta al bar Adriano. Quasi sempre entra da solo, prende il solito espresso e se ne rivà, il cavaliere. Da queste parti “el ragiunat de Mantua” lo chiamano “il cavaliere”, ma si sente che lo dicono con la c minuscola. Da qualche giorno, in città, non si parla che di lui. Non che non se ne parlasse anche prima, con le rivalità e le operazioni finanziarie e le amicizie politiche sempre sulla bocca di tutti, ma da quando un altro pari grado, con la maiuscola, ha deciso che sarebbe stato lui l’uomo giusto per guidare la nuova Compagnia aerea italiana, Roberto Colaninno è tornato a essere l’argomento preferito dai mantovani. Da dieci giorni la Gazzetta di Mantova, primo quotidiano della città di proprietà del gruppo Espresso, macina titoli sulla nuova “Alitalia mantovana”. In parte è vero, in parte è orgoglio di provincia. Eppure il ragioniere, che a Mantova c’è nato nel 1943, fino a poco più di dieci anni fa era ancora “un teròn”. Suo padre lavorava all’ufficio delle entrate e veniva da Acquaviva delle Fonti, nel barese. Man mano che il ragioniere diventava cavaliere e finiva sulle prime pagine dei giornali di Roma e di Milano per essere arrivato alla guida di Olivetti, per aver scalato Telecom con gli altri “capitani coraggiosi” della razza padana e per essersi comprato la Piaggio e aver fatto diventare lombarda persino la Vespa, Colaninno il terrone diventava Roberto il mantovano. Così mantovano da finire – era il 1998 – nel consiglio d’amministrazione della Bam, la Banca agricola mantovana, insieme con il grande vecchio dell’industria locale, quello Steno Marcegaglia che – giovane operaio socialista – in quarant’anni aveva creato a Gazoldo degli Ippoliti il suo impero dell’acciaio partendo da una ditta di guide metalliche per tapparelle. I due non avrebbero potuto essere più diversi: esuberante, sempre pronto a intervenire nei dibattiti pubblici per dire la sua e finire sui giornali il patriarca Steno, capitano d’industria vecchio stile che produce roba e la vende. Misurato, schivo, vicino alla politica senza subirne il fascino il più giovane Roberto, imprenditore bravo coi numeri e le plusvalenze più ancora che con i prodotti. In quel consiglio, microcosmo della finanza che allora contava, c’era pure Calisto Tanzi. L’allora patron di Parmalat era nel numero degli amministratori d’area cattolica della piccola banca di provincia che annoverava già tra i suoi correntisti un immobiliarista rampante come Stefano Ricucci. Colaninno e Marcegaglia, che pure non dovevano piacersi troppo, erano invece tra i “laici” assai vicini all’allora Pds che spingevano per l’arrivo a Mantova dei senesi del Monte Paschi, pronti a rilevare l’istituto lombardo. L’uno e l’altro, raccontano in città, speravano forse di accedere alla presidenza della banca, e diventare in tal modo una sorta di proconsoli della finanza rossa in Lombardia. Andò male a entrambi. Gli uomini fidati arrivarono direttamente da Siena e per i mantovani non ci fu spazio. Dieci anni dopo Roberto Colaninno e Steno Marcegaglia siederanno ancora insieme in un altro consiglio di amministrazione, quello della nuova Alitalia: “Da allora le loro carriere non si sono più incrociate – racconta al Foglio Romano Gandossi, direttore della Voce di Mantova, che a differenza della Gazzetta non ha un gran feeling con il neopresidente della compagnia di bandiera – Di lì a qualche mese Colaninno si lanciò nell’impresa Telecom e più tardi nell’acquisizione di Piaggio. Per forza di cose, più i suoi interessi diventavano grandi, più le sue apparizioni a Mantova si diradavano. Marcegaglia, al contrario, non ha mai smesso di farsi vedere, ma negli ultimi anni anche lui s’è dedicato alla sua opera migliore: la costruzione del personaggio pubblico di Emma, una donna che sarà in grado di tagliare quei traguardi che nemmeno suo padre è riuscito a raggiungere, complice forse il suo carattere esuberante, tutt’altro che diplomatico”. Un carattere che l’ha confinato nel suo doratissimo esilio di Gazoldo, mentre in città politici, imprenditori e giornalisti inseguono il favore del ragioniere-cavaliere. “Nei dieci anni della giunta Burchiellaro – dice Giuliano Longfils, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale e un passato da segretario del Pli – la vicinanza di Colaninno all’amministrazione di centrosinistra è stata totale. Lui non appariva mai, ma era evidente che la sua parola, sulle decisioni strategiche di sviluppo economico e urbanistico della città, era molto ascoltata”. Che quando il ragioniere era a capo della Omnitel tutti i telefonini in municipio fossero della Omnitel e che gli scooter tuttora in dotazione alla Polizia municipale siano Piaggio sono, ovviamente, coincidenze che soltanto in provincia amano sottolineare.
A casa Colaninno la politica ha fatto breccia nella nuova generazione, capitani coraggiosi che studiano da leader popolari. Matteo, il suo primogenito, un manager capace di parlare più e meglio di lui alla politica. La nomina a ministro dello Sviluppo economico nel governo ombra di Walter Veltroni e la presidenza dei giovani industriali durante il mandato Montezemolo sono però soltanto le tappe conclusive (per ora) di una carriera cominciata all’ombra di papà Roberto prima nella società capofila di famiglia, la Immsi (la stessa che investirà 150 milioni di euro in Compagnia aerea italiana), e poi alla vicepresidenza della Banca popolare di Mantova, l’istituto fondato nel 2000 con l’aiuto della Popolare di Lodi dopo la delusione Monte Paschi di due anni prima. Con la candidatura alle politiche Matteo, capolista del Pd in Lombardia, è uscito dal cda di Bpm, ma non da quello di Immsi. Due giorni fa, in un’intervista alla Gazzetta di Mantova, ha assicurato di “non essere affatto in conflitto di interessi”, spiegando che al momento di votare l’investimento in Alitalia si è alzato e se n’è andato. Se è vero, come dicono a Mantova, che i consigli di amministrazione di Immsi si tengono tra un primo e un secondo al Pescatore di Canneto sull’Oglio, chissà dove sarà andato, prima di tornare a mangiare il petto d’anatra all’aceto balsamico.
Alan Patarga

(© Il Foglio, 4 settembre 2008)

Nessun commento: