mercoledì 17 ottobre 2007

Per Franco Prodi l’unica certezza sul climate change è che il clima cambia


Roma. Dice di non essere “un negazionista” del global warming, Franco Prodi, “ma nemmeno un catastrofista pronto a dire che la Terra scomparirà, perché ci sono troppe cose che ancora non sappiamo del nostro clima e delle sue variabili”. Intervenuto a un dibattito sul tema “Climate change: miti e falsi miti tra informazione e disinformazione” organizzato ieri alla Luiss, il direttore dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr (e fratello del premier Romano) che lo scorso mese aveva bocciato la conferenza sul clima organizzata dal governo ha ridimensionato il ruolo dell’uomo nel processo di surriscaldamento terrestre. “I fattori che hanno portato a un graduale innalzamento delle temperature – ha spiegato il ricercatore bolognese – sono numerosi, e molti non hanno nulla a che vedere con l’attività umana. La variabilità dei cicli solari, ad esempio, incide sul clima e sulle temperature, e questo è vero per periodi lunghi centinaia di migliaia di anni, ma anche per sottoperiodi più brevi. Anche nell’ultimo millennio abbiamo assistito a mutamenti climatici dovuti a questi cicli. Poi, negli ultimi duecento anni, abbiamo avuto la ‘complicazione’ dell’uomo industriale, questo è vero, ma per l’appunto non è semplice stabilire quale sia in realtà ‘l’effetto antropico’ sul clima, perché le serie storiche esistenti, rese possibili dall’invenzione del termometro e di altre apparecchiature come il barometro, risalgono a poco più di due secoli fa, a Galileo e a Torricelli”. E a chi – proprio alla conferenza governativa sul clima di settembre – aveva citato dati secondo i quali in Italia le temperature medie sarebbero cresciute quattro volte di più che nel resto del mondo, Prodi ha risposto indirettamente (dopo averlo fatto a caldo negli stessi giorni dell’evento), mostrando e spiegando le cifre reali: “Nell’ultimo secolo – ha raccontato – le temperature sono cresciute di circa sette decimi di grado. In Italia l’aumento registrato è stato di un grado ogni cento anni, ma non è vero che da noi abbia fatto più caldo, in proporzione, che altrove: semplicemente la media mondiale tiene conto anche delle superfici degli oceani, sulle quali non vengono effettuati rilievi termici, non essendoci stazioni di rilevamento. Facendo una media delle sole terre emerse, scopriremmo che l’incremento italiano è uguale a quello di tutte le altre regioni del pianeta”. Anche il ruolo del CO2 è stato ridimensionato da Prodi: “Certo che influisce sul riscaldamento della Terra – ha sottolineato il climatologo – ma è pure vero che esiste una miriade di altri fattori, e di molti non sappiamo abbastanza, come degli scambi oceani-atmosfera. In realtà stiamo cercando di realizzare dei modelli di monitoraggio completi, che tengano conto di tutti i fattori, ma ancora non li possediamo. E, se anche li avessimo già, dovremmo tener conto che spesso il sistema climatico può avere un comportamento non lineare”.
A fronte di tanta incertezza, Brian Flannery del colosso petrolifero ExxonMobil (proprietario dei marchi Esso e Mobil), che non teme l’accusa di sostenere interessi di parte, ha chiarito come la prudenza dovrebbe essere la prima regola da seguire, in tema di politiche ambientali: “Bisognerebbe ridurre i rischi, ma a costi accettabili per la società, non chiedendo di abbandonare risorse energetiche collaudate in favore di tecnologie che, allo stato attuale, non sappiamo quanto e come saranno accessibili e a che prezzo. Nel frattempo, l’impegno di tutti i paesi e delle imprese dovrebbe essere rivolto a una politica di efficienza energetica e di sostegno alla ricerca in vista di una riduzione delle emissioni di gas serra. Anche perché assumere che determinate tecnologie come il nucleare e il carbone saranno realmente a ‘costo zero’, come alcuni vogliono farci credere, non è affatto scontato”, ha detto il rappresentante del gruppo petrolifero.
Per Carlo Stagnaro, direttore del Dipartimento energia e ambiente dell’Istituto Bruno Leoni, “esiste un rapporto di stretta correlazione tra libertà economica e efficienza energetica: nei paesi dove l’impresa è libera e vigono le leggi del mercato e dell’innovazione, il risparmio di energia (e quindi il minor inquinamento) è una realtà. Al contrario, paesi poco liberi economicamente come Cina e India inquinano molto più, in proporzione, di Stati Uniti e Giappone. Dovremmo porre le basi per un ambientalismo che sia amico dell’impresa e della tecnologia, e non che tenda a demonizzarle”.
Alan Patarga

(© Il Foglio, 17 ottobre 2007)

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