martedì 1 dicembre 2009

La solitudine dei figli lontani


Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai.
(Pier Luigi Celli, lettera al figlio pubblicata da Repubblica)


Tutto più o meno giusto. E comprensibile l'invito a scappare all'estero. Inutile la retorica (spesso onesta) di chi dice: resto per non darla vinta. Le cose - poche storie - stanno quasi sempre così, e le eccezioni (di cui m'illudo di far parte) si contano sulla punta delle dita di una mano.
Però, in questa lettera, manca qualcosa: una cosa importante. E' il motivo per il quale, qualche anno fa, ho deciso di rimettere in discussione tutta la mia vita e le certezze conquistate (una carriera all'estero e uno stipendio doppio di quello che prendevo prima in Italia) e tornare: perché all'estero puoi trovare un buon lavoro, farti qualche amico e magari incontrare pure l'amore, ma la verità è che un uomo, senza le sue radici, è sempre solo.

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