venerdì 27 novembre 2009

La croce dei trans e l'Italia senza Croce


A non aver paura di farsi dare dei conservatori, ci sarebbe da chiedersi che paese sia quel paese che esclude il sacro, la storia e il valore della vita dal discorso pubblico – se non per esecrare tutte queste cose – e al tempo stesso eleva a paradigma della modernità il cambiamento di sesso e le pulsioni (d’erotismo, ma soprattutto d’egoismo) che circondano tale passaggio di genere.
Chiunque abbia acceso la tv anche per pochi minuti, negli ultimi giorni, se ne sarà reso conto: non si parla che di trans. Uomini diventati donne, imbottite di litri (sì, litri) di silicone, donne che sono o stanno diventando uomini: il trans va di moda (e porta ascolti) un po’ a tutti. A Porta a Porta, Annozero e Matrix se ne discute come di un fenomeno politico (e c’è quasi da rimpiangere Vladimir Luxuria), dopo aver discettato per mesi di prostitute. E lo stesso, con toni differenti, si fa a La vita in diretta, a Pomeriggio Cinque, fino alle Iene e al Grande fratello. C’è chi spiega quanto costi un rapporto mercenario con un uomo-donna, chi quanto sia caro operarsi, chi “quanto è difficile spiegare ai figli che ora sono una donna e al tempo stesso il loro papà”. E tutto questo a tutte le ore del giorno, non soltanto in fascia protetta. Perché, il ragionamento sottinteso non può che essere questo, “tanto con Internet è inutile nascondere qualsiasi cosa ai figli”. Sarà, però in questo stesso paese che non si premura di nascondere nulla ai bambini, dal sesso alla violenza più estremi e deviati, ci si premura di nasconder loro quel che un tempo era il primo insegnamento.
Prima di leggere, di scrivere e di far di conto, una volta s’insegnava ai figli a raccomandarsi l’anima al Signore. Niente di impegnativo, poche preghiere da mandare a memoria, una sorta di appuntamento anticipato (e per forza di cose compreso solo in parte) con il mistero del sacro. Adesso una sentenza della Corte europea di giustizia – che fortunatamente non è stata accolta con i soliti alleluia di parte – dice che ai piccoli italiani debba essere impedita la visione del Crocifisso nelle scuole. Una “violenza” (letterale) alla libertà religiosa loro e dei loro genitori, secondo i giudici comunitari, che uno Stato laico non potrebbe perpetrare. Sono più o meno le stesse motivazioni che, negli ultimi anni, hanno spinto ad abdicare a tutto un insieme di tradizioni – religiose, in senso stretto, ma culturali in senso assai più ampio – nel nostro paese. Una, apparentemente minore, è quella del presepe nelle scuole. Ma, in questi casi, si comincia sempre con il bersaglio piccolo per colpire in un secondo momento quello principale. L’Italia senza Croce può essere lo stesso paese che è l’Italia con la Croce? La risposta, anche per il più infervorato degli atei, non può che essere negativa. Senza la Croce, il nostro è un paese depauperato di buona parte della sua storia sociale e architettonica, un paese incomprensibile per un visitatore. O per chi, come i bambini, arriva soltanto ora ad abitarvi.
Eppure, la stessa Europa che non vuole far vedere il Crocifisso ai bimbi non dice nulla riguardo il martellamento di sesso-senza-amore cui i figli degli italiani sono ormai sottoposti ora dopo ora. Ma lì il discorso è diverso. Si capisce da come rispondeva a una domanda, qualche giorno fa, un uomo diventato donna ma rimasto padre di due figli: “Io mi sentivo donna, loro hanno capito anche se sono ancora minorenni”. Avranno capito davvero? Difficile crederlo. Difficile, però, è soprattutto pensare che una persona che ha degli obblighi derivanti dall’amore verso altre persone (i figli) debba far affrontare loro una situazione psicologicamente pesantissima (e dall’esito tutt’altro che scontato) per puro egoismo. In un paese senza Croce, che è pur sempre il simbolo del più alto gesto d’altruismo della storia umana, è evidente che la norma debba essere questa. E’ evidente che, per egoismo, si debba poter cambiare sesso, far soffrire i figli o magari non farli nascere proprio. E chi chiede d’esporre un simbolo d’amore, chi ricorda la propria storia, chi dice no all’aborto – in un paese così – è un bieco conservatore. E allora sarò pure retrivo, ma lasciatemi dire che una Croce in classe non ha mai fatto male a nessuno, che quest’anno farò un presepe doppio e che una donna infelice è sempre meglio di un bambino morto.
Alan Patarga

(da La Cronaca di Piacenza, La Voce di Mantova e La Voce di Romagna)

Nessun commento: