lunedì 15 ottobre 2007

Lo strano tandem Draghi-Veltroni


Roma. “La sfida cruciale della finanza pubblica italiana consiste nel realizzare congiuntamente l’abbattimento del peso del debito e la riduzione del carico fiscale che grava sui contribuenti onesti”. Le parole scelte ieri da Mario Draghi, nel corso dell’audizione sulla Finanziaria delle commissioni Bilancio di Camera e Senato, per chiarire quale sia la priorità delle priorità per la politica economica dei prossimi anni, sono suonate terribilmente simili a quelle scelte da Walter Veltroni appena quarantott’ore prima. Lunedì, il candidato numero uno alla leadership del Partito democratico aveva lanciato la sua “cura choc” per la riduzione del debito pubblico italiano a base, soprattutto, di privatizzazioni del patrimonio demaniale. Martedì era stata la volta del commissario europeo agli Affari economici, Joaquin Almunia, che aveva chiesto all’Italia di “rispettare” i suoi impegni in vista della riduzione del debito pubblico, “il più alto d’Europa”. Ieri è intervenuto il governatore della Banca d’Italia, chiamato a pronunciarsi sulla bozza di legge finanziaria approntata dal governo: a suo avviso “mantiene le principali poste del bilancio pubblico sui livelli previsti per l’anno in corso, non sfrutta il favorevole andamento delle entrate per accelerare la riduzione del debito e non restituisce ai contribuenti una quota significativa degli aumenti di gettito”. Anzi, le tasse di fatto aumenteranno: “La struttura dell’Irpef si caratterizza per un elevato grado di progressività che, per effetto dell’inflazione, determina ogni anno un aumento del prelievo sulle famiglie superiore a quello della capacità contributiva”, ha spiegato Draghi, che è poi tornato sulla necessità di alzare l’età pensionabile. Più tardi, anche il presidente della Corte dei conti, Tullio Lazzaro, ha rilevato con “perplessità e preoccupazione” che la Finanziaria “è caratterizzata da una continua revisione verso l’alto delle stime sul gettito fiscale” e che il tesoretto potrebbe rivelarsi di soli 2,3 miliardi di euro (da 5,9).
A ben vedere, quella di ieri non è stata però la prima occasione di sintonia tra il governatore e il sindaco di Roma. Qualche settimana fa, Veltroni aveva chiesto l’adozione di un “nuovo patto fiscale” dove “a mutare deve essere la composizione interna della pressione fiscale, che oggi è sperequata a svantaggio dei contribuenti leali e a favore di quelli meno onesti”, parole molto simili a quelle usate ieri da Draghi. Che sia casuale o no, il fatto che – dalle considerazioni finali del governatore di Palazzo Koch al discorso del Lingotto di Veltroni fino a ieri – i temi, i tempi, le parole e in parte anche le ricette che i due propongono finiscano spesso per assomigliarsi è un dato singolare che potrebbe dire molto sulla Veltronomics prossima ventura.
Nel discorso-manifesto di Torino, da dove è partita la sua corsa per conquistare la guida del Pd, Veltroni era riuscito a non nominare nemmeno Antonio Gramsci ma a citare tre volte (più di qualunque altro) proprio Mario Draghi. E lo ha fatto parlando di invecchiamento della popolazione e di pensioni, ma anche di “questione meridionale”. Temi sui quali il governatore di Bankitalia è tornato nelle due prime occasioni pubbliche a disposizione dopo il discorso del Lingotto: il 16 luglio durante l’audizione parlamentare sul Dpef e il 12 settembre all’Università di Brescia, dove era chiamato a parlare in ricordo dell’economista Riccardo Faini. A Brescia, Draghi chiarì come non fosse possibile un’Italia ricca con un meridione in affanno perché “il paese non si riprende se il sud non decolla”. Pochi giorni più tardi, per la prima volta W. prendeva carta e penna per scrivere alla Gazzetta del Mezzogiorno (2 ottobre) e al Mattino (il 4) che “è il Mediterraneo il nuovo crocevia mondiale del secolo e il sud ne deve approfittare” e di essere “con il sud per rompere il silenzio” dell’omertà mafiosa.
Per l’economista Francesco Giavazzi, autore (con Alberto Alesina) di un recente saggio sul liberismo “di sinistra” edito da il Saggiatore, “un linguaggio comune tra i due c’è, ma con una differenza”: “Sicuramente Veltroni e Draghi sono più vicini di quanto quest’ultimo non lo sia con l’attuale ministro dell’Economia – spiega al Foglio il professore bocconiano – ma l’idea del sindaco di Roma di risolvere, sia pure parzialmente, il problema del debito pubblico con un’ampia opera di dismissioni del patrimonio dello stato non credo rientri nello spirito di Draghi. Quello di Veltroni è un approccio che può essere risolutivo per un comune anche grande come quello di Roma, non per l’Italia. Probabilmente ha preferito puntare su quello, anziché sulla necessità di ridurre drasticamente la spesa pubblica, per esigenze politiche, ma a mio avviso il leader in pectore del Partito democratico avrebbe dovuto essere più coraggioso. Se non lo è adesso, quando potrà esserlo?”. L’economista e deputato ulivista Nicola Rossi (candidato a Roma nella lista dei Democratici per Veltroni) sostiene che “certi punti di convergenza tra i due non sorprendono affatto, anzi erano tutto sommato attesi, anche tenendo conto delle posizioni che tanto il governatore di Bankitalia quanto il sindaco di Roma hanno da molto tempo, ormai, sulle questioni della politica di finanza pubblica. Conosco entrambi molto bene, ma non so dire se siano in contatto o no: non tengo il conto delle telefonate né di uno né dell’altro”.

(@ Il Foglio, 12 ottobre 2007)

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